CAMBIAMENTO CLIMATICO E FENOLOGIA DEGLI UCCELLI
mar 312022Durante l'ultimo venerdì dell'associazione abbiamo parlato di come il cambiamento climatico possa avere conseguenze a cui solitamente non pensiamo, ad esempio sul comportamento degli uccelli. Il nostro socio Angelo Alberi, esperto di avifauna ed è inanellatore dell’ISPRA, ci ha spiegato come sia necessario che ciascuno di noi modifichi in qualche misura il proprio comportamento per evitare ripercussioni sui più disparati aspetti della natura.
Cambiamento climatico (climate change) e riscaldamento globale (global warming) sono termini che, oramai, fanno parte del nostro lessico giornaliero. Di queste tematiche ne discutiamo con gli amici, i media ne parlano ogni giorno e sui social network leggiamo quotidianamente un numero esorbitante di interventi in tal proposito. Eppure, la maggioranza di noi ignora quali gravissime ripercussioni questi fenomeni stanno avendo, oltre che sul genere umano, anche sul mondo vegetale ed animale. Prendiamo in esame, ad esempio, il legame tra cambiamento climatico e fenologia degli uccelli.
Questi animali sono da sempre considerati tra i più affidabili indicatori del cambiamento climatico perché durante il loro ciclo biologico annuale, soprattutto i migratori a lungo raggio, frequentano habitat diversi posti anche a migliaia di km di lontananza tra di essi. L'innalzamento della temperatura media della terra ha già avuto ripercussioni sul loro comportamento, mandando fuori sincronia i loro ritmi biologici con i cicli degli ecosistemi frequentati (foto 7). Le temperature più elevate favoriscono l'emersione dal terreno di tutte le specie di insetti che costituiscono l'alimentazione degli uccelli così che al loro arrivo nei quartieri di nidificazione troveranno una buona disponibilità di cibo ma, al momento della schiusa delle uova questo picco alimentare sarà già passato e sia gli adulti che i nuovi nati avranno molte più difficoltà nel reperire il cibo necessario alla loro sopravvivenza. Il rischi maggiori però, soprattutto per le specie che migrano su lunghe distanze, sono la continua perdita di habitat adatti a sostenerli durante i loro lunghi viaggi, l'avanzamento del deserto del Sahara e la continua perdita di foresta nella fascia centrale del continente africano. Vari studi ci dicono che l'innalzamento della temperatura terrestre sarà più sensibile nella fascia nord dell'emisfero boreale e l'European Breeding Bird Atlas , dopo osservazioni durate alcuni anni, conferma che gran parte delle specie europee stanno già spostando più a nord i loro areali, tanto che una proiezione al 2070 prevede che la Magnanina (Sylvia undata) sarà quasi completamente scomparsa in Spagna, dove risiede attualmente la più cospicua popolazione europea. Una ricerca del BTO (British Trust of Ornitology) ha appurato che negli ultimi vent'anni, nel Regno Unito, l'Usignolo di fiume (Cettia cetti) ha spostato il suo areale di circa 30 km più a nord mentre la rondine (Hirundo rustica) ha posticipato la migrazione autunnale di 4 settimane. Su 124 specie europee prese in esame in un interessante studio condotto da ricercatori francesi, olandesi, inglesi e ceki, solo per 32 di esse si prevede un incremento mentre le restanti 92 subiranno una contrazione numerica e di areale.
La Terra è un unico grande ecosistema e quello che sta succedendo in Europa si riscontra anche in tutti gli altri continenti. Segnali molto allarmanti arrivano dall'Antartide, dove il ghiacciaio Thwaites ( esteso quanto metà Italia ) perde ogni anno oltre 50 miliardi di tonnellate di massa ed il suo completo scioglimento rischia di fare alzare il livello degli oceani di 65 centimetri.
Il cambiamento climatico sta procedendo a velocità elevata e gli uccelli per sopravvivere devono evolversi in tempi rapidi altrimenti molte specie rischieranno di estinguersi entro i prossimi decenni o vedranno intere popolazioni locali di determinate specie scomparire (foto 5). A testimonianza della globalità del fenomeno si è constatato che i migratori europei negli ultimi trent'anni hanno anticipato di un giorno ogni tre anni il loro arrivo nei territori riproduttivi mentre le Urie canadesi (Uria aalge) hanno anticipato la deposizione delle uova di 24 giorni in dieci anni. Nelle aree più impervie ed isolate della foresta amazzonica alcune specie di uccelli, dimostrato da uno studio durato quarant'anni, hanno perso il 2% del loro peso ogni dieci anni e sviluppato ali più lunghe per avere un volo più efficiente e meno dispendio energetico.
Per gli uccelli che nidificano in montagna la minaccia arriva da due fronti: quello climatico, che costringe le specie a nidificare a quote sempre maggiori perdendo così parte dell'habitat idoneo e frammentando il loro territorio con il rischio che alcune popolazioni restino isolate e quello dell'industria dello sci. Si stanno aprendo,infatti, impianti sciistici a quote che permettano un innevamento sicuro durante questi inverni sempre meno freddi.
Con l'aumentare delle temperature molte specie di uccelli si spingeranno sempre più a nord o più in quota, se possibile, ma la distribuzione delle popolazioni sarà influenzata anche dai tassi di umidità, dalle precipitazioni e dalle invasioni di specie competitive.
Si prospetta un futuro delicato per questi nostri compagni di viaggio e quelle specie che sapranno evolversi più velocemente vinceranno una partita che non ammette tempi supplementari o rivincite.
E noi (Homo sapiens sapiens), sapremo giocare questa partita con intelligenza tattica e lungimiranza?